Un giunco

Un giunco

Un monaco buddhista Zen, Kodo Sawaki, diceva che l’intero corpo degli scritti buddhisti non è in fondo altro che un grande insieme di note a piè pagina allo zazen, ovvero la meditazione per come la intende lo Zen. Si tratta di una affermazione piuttosto forte. Meditazione è un termine difficile, scivoloso, ostico e per certi versi addirittura da evitare, almeno fino a che non se ne padroneggi il senso. E come si può studiare qualcosa senza nominarlo? Una bella sfida.

I testi buddhisti sono ricchi di esempi e metafore, una vera miniera per il filosofo occidentale che voglia compiere lo sforzo di avvicinarli. All’inizio di una raccolta di scritti, precisamente il Samyutta Nikaya, esiste un breve passo intitolato “Un Giunco”, dotato di forte carattere evocativo.

Un giunco è immerso nel fiume, nel fluire di tutto quanto accada, senza sosta. Anche la donna e l’uomo vivono allo stesso modo, immersi come sono nella realtà e, prima di tutto, nella loro realtà, quella porzione del mondo che è rappresentata nei loro pensieri e nelle loro idee, a cui corrispondono i loro stati d’animo, i loro timori e le loro aspettative.

Il “fluire”, scorre. Va da sé, è normale che sia così. Il problema è che non sempre questa caratteristica della realtà incontra il nostro gusto e, va detto, lo scorrere non è obbligatoriamente lento e rassicurante: a volte si trasforma, almeno ai nostri occhi, e diviene un erompere che trascina via ogni cosa amiamo.

Spostarsi in un grande fiume non è facile, viverci lo è ancora di meno. Se si tenta di fermarsi perché si è trovato un posto che pare saldo, prima o poi si sprofonderà, se si tenta di combattere con tutte le proprie forze per opporsi strenuamente alla corrente, prima o poi si verrà spazzati via: le nostre forze ed il nostro potere di controllare gli eventi, non sono senza fine.

Come potrà un giunco, quindi, andare oltre il fluire?

Senza fermarsi e senza lottare, risponde Siddharta.

Photo by Denis Agati on Unsplash

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