Come un sasso in uno stagno

Come un sasso in uno stagno

Una piccola pietra vola diritta nell’acqua. Un tonfo sordo unito ad un’idea cristallina. Poi piccole onde circolari, che si allargano, arrivano lontano e poi scompaiono.

Esterno, notte.

Una donna cammina piano. C’è un silenzio che sente continuamente definire “irreale”. Invece il silenzio è proprio lì, denso, reale esattamente come tutto il resto. I suoi passi fanno rumore, non ci è abituata. Porta a spasso il cane, ha un po’ paura. Adesso gli altri sono un problema.

Antropofobia? Quasi la sente davvero, la paura degli altri umani. Capisce che inizia ad avere timore del contatto, della sua stessa possibilità. L’ultima volta che ha incrociato qualcuno si è tirata in parte, ha girato la testa per proteggere quelle aperture così ingenuamente prive di difesa. Naso e bocca. Occhi, forse.

Al supermercato prova ansia: si è troppo vicini e non tutti sembrano curarsi delle distanze da tenere. Incivili. E tutti toccano tutto.

Cammina. La sua mente adesso è molto più attenta, si sente meno sovrapensiero. Forse perché attorno a lei, pur restando tutto uguale, tutto è cambiato. Se le cose sono uguali, immagina, allora c’è molto spazio per i pensieri e c’è modo di non vedere quasi niente. Si va in giro senza guardare, senza sentire, spostando semplicemente il nostro corpo. Da un posto all’altro.

Ora sente la differenza, se ne spaventa. Nota la realtà adesso. Tutto è lì davanti a lei… e non dice nulla. Avverte un grande senso di vuoto, come si trovasse in un’ampia bolla in cui regna il silenzio, spaventoso, dell’assenza. Dell’immobilità. È una realtà che non le piace e ne vorrebbe un’altra. Vorrebbe indietro la sua, quella di prima. Accelera il passo e quasi trascina il suo cane. Si sente male ad aver paura del nulla, proprio lei che odiava la confusione.

Quasi con sorpresa, capisce: le mancano. Quelli simpatici e quelli antipatici. Non fatica nemmeno ad ammetterlo, adesso che lo ammettono tutti, adesso che nessuno si vergogna di dire che si ha bisogno gli uni degli altri.

Se stiamo tutti a terra, al primo piolo della scala del nostro io, forse è più facile guardare gli altri e vedere che sono noi. Se invece stiamo salendo, ci stiamo arrampicando per raggiungere il cielo dei nostri sogni, della nostra vittoria, con lo sguardo verso l’alto, immaginiamo gli altri solo come avversari e non li guardiamo nemmeno più. Viviamo con l’idea che di loro ci siamo fatti. Forse è così, pensa. Scompaiono nella notte, la donna ed il suo cane.

Adesso che il sasso è caduto nel nostro stagno, che le onde sulla superficie hanno colpito la nostra sicurezza, adesso che abbiamo capito quanto gli altri siano importanti, quanto siamo fragili, quanto le nostre azioni contino per determinare la felicità o la sofferenza altrui, non dimentichiamocelo più.

Prima o poi le onde spariranno, magari potranno anche tornare, un giorno, ma noi facciamo in modo che il nostro stagno, dopo, sia migliore, anche per chi non sarà più con noi a guardarlo.

Photo by Sora Sagano on Unsplash

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