A questa pagina l’audio originale: si sente una voce di ragazza, Giulia Cecchettin, pronunciare le frasi seguenti:
“Mi sento in una situazione in cui… appunto… vorrei che sparisse, vorrei non avere più contatti con lui, però allo stesso tempo… lui mi viene a dire cose del tipo che… è super-depresso, che ha smesso di mangiare, che passa le giornate a guardare il soffitto, che… eeh… pensa solo ad ammazzarsi, che vorrebbe morire… non me le viene a dire per forza secondo me come ricatto, però… suonano molto come ricatto e allo stesso tempo mi viene a dire che… l’unica luce che vede nelle sue giornate sono le uscite con me o… i momenti in cui io gli scrivo e quindi questa cosa con il fatto che io vorrei non vederlo più perché comincio a non sopportarlo più, mi pesa… non so come sparire nel senso… vorrei fortemente sparire… dalla sua vita, ma non so come farlo perché… mmh… perché mi sento in colpa!… perché ho troppa paura che possa farsi male in qualche modo…”.
Siamo probabilmente davanti ad un documento sonoro relativo ad una conversazione con un’amica, la voce della quale è stata ovviamente tagliata. Si tratta di una sorta di “collage” di frasi, quindi non un solo discorso ma più spezzoni, uniti tra loro allo scopo di rendere in modo coerente il pensiero di Giulia.
F. Q., ventiduenne di Abano, intervistata dal Mattino di Padova dopo l’omicidio, afferma:
“Mi aveva detto che lei lo aveva lasciato perché voleva riprendersi i suoi spazi. Una cosa normale. Ma lui non riusciva ad accettare che fosse finita. Gli dicevo che non poteva continuare a logorarsi. Ho provato a spiegargli che amare è vivere insieme, non in funzione di un’altra persona. Ultimamente lo avevo visto meglio: non mi parlava più di Giulia, pensavo che ne fosse uscito. E invece…”.
Filippo ha 22 anni ed alle spalle non ha una famiglia orribile, non ha avuto una vita orribile, ma è stato capace di compiere un atto orribile.
Perché? L’analisi di ciò che Giulia dice, in questi pochi secondi, può darci forse un’idea di ciò che può essere accaduto nella mente del ragazzo. Si tratta ovviamente di sole supposizioni: qualcosa di più concreto emergerà da una probabile perizia psichiatrica, ma vale comunque la pena di provare ad immaginare che cosa in lui sia effettivamente accaduto e questo è utile per due motivazioni: la prima è smettere di alimentare un clima di giustizia sommaria, quasi un rito collettivo in cui il “male” viene sublimato, la seconda è porre delle basi per un ragionamento che, proprio a partire dalla psicologia, conduca ad agire per evitare il più possibile che fatti analoghi si ripetano.
Giulia sembra aver raccolto la testimonianza di una persona affetta da una depressione, la sintomatologia che viene riportata indica piuttosto chiaramente che esiste una forte tristezza di fondo, un cambiamento del rapporto con il cibo, un abbandono delle attività quotidiane. Inoltre parlare di “unica luce” in relazione ai contatti con l’ex fidanzata sembra indicare la presenza di anedonia, ovvero la mancanza della possibilità stessa del provare un qualche tipo di piacere. Filippo ha sperimentato la depressione in relazione alla separazione? Potremmo supporlo, ma se interpretassimo la situazione psichica del ragazzo come una semplice e diretta conseguenza del distacco, associata, come va di moda in queste ore, ad una visione “patriarcale” della famiglia o del vivere tout court, probabilmente compiremmo un errore di valutazione.
La fine di una storia d’amore è un momento traumatico, come negarlo? Ma nel caso di Filippo possiamo immaginare che sia davvero franata la struttura stessa della sua esistenza. D’altro canto abbiamo appreso che il ragazzo era divenuto una persona fortemente controllante: chi è che controlla se non chi immagina di stare per perdere? Questo è un altro aspetto che può aiutarci a definire meglio con chi abbiamo a che fare.
“Perdere”, in una coppia, significa vedere l’altro che si allontana: chi rimane si avverte fermo, immobile, senza tempo. Chi lascia possiede invece un futuro in virtù del fatto che lo ha immaginato precedentemente, percorre cioè una alternativa, si sposta, incede. Si può immaginare di avere il terrore di perdere chi amiamo se ci sentiamo bene, forti, sicuri di noi stessi ed attraenti? Difficilmente: immaginiamo di essere degni dell’altro, pensiamo di essere una buona scelta, di essere dei buoni compagni per chi amiamo; la possibilità che l’altro se ne vada esiste, ma se lo amiamo, fa parte del gioco e noi, comunque, resteremo in piedi.
Quando invece diventiamo timorosi, malfidenti ed appunto controllanti? Viene da sé: quando ci sentiamo male, abbiamo perso fiducia, avvertiamo che non troveremo mai nessun altro, che resteremo da soli. Paradossalmente: abbiamo paura di perdere chi amiamo quando non lo amiamo, ma lo vogliamo con noi come un oggetto fondamentale al nostro precario equilibrio: se l’altro se ne va, allora siamo morti.
Cosa significa “morte” per chi è in vita? Significa fare esperienza della “morte della propria vita” per come la si conosceva. Filippo si trova senza qualcosa che la sua condizione mentale gli aveva fatto avvertire come “suo” in un modo estremamente profondo. Giulia doveva essere letteralmente innervata in Filippo, non semplicemente la sua ragazza, ma il suo collante: Giulia teneva insieme Filippo e non necessariamente per un amore profondo, ma più probabilmente per la presenza di grandi vuoti, di insicurezze, di solitudine, della mancata elaborazione di quel primo lutto che è la separazione dalla madre? Sono solo ipotesi, ma la sintomatologia depressiva è allora la conseguenza del crollo: nessun futuro, nessun tempo, nessun movimento, solo una stasi dolorosa e lunga. Una agonia che si accompagna ad un piano inclinato terrificante: ogni incontro, uno dopo l’altro, serve a Filippo per tenere viva una speranza. Una fiammella che ormai non può che alimentare con la distruzione progressiva di ciò che è rimasto della sua dignità: ogni richiesta di vedersi, è una umiliazione. Giulia esce con lui perché Filippo le provoca pena e lui utilizza l’ultima cosa che possiede: la sua vita. Metaforicamente, la mette nelle mani della ragazza: “se te ne vai, io mi uccido”.
Si tratta di un fenomeno rituale: la minaccia di un suicidio, punitivo. Giulia giustamente avverte il tutto come un ricatto terribile, immobilizzante: le impedisce di andare avanti, di “sparire” o di “veder sparire” lui. Tutto resta fermo, appeso all’estrema risorsa che Filippo mette in campo, grattandola dal fondo della sua dignità totalmente perduta per tenere legata a sé quella stessa persone che ormai, con ogni probabilità, vede uscire con lui soltanto per pietà.
E’ in questo momento che Filippo cade a pezzi? Non lo possiamo sapere. Le parole della ventiduenne di Abano però sembrano indicare un istante in cui un cambiamento si fa strada: il giovane non si lamenta più. E’ la vergogna probabilmente ad impedirgli di parlare, la sensazione che per gli altri sia già “troppo” quello che sta provando, quello che sta facendo, sia a Giulia che a se stesso. Da un certo momento in poi Filippo avrà forse dovuto tacere, nascondere, celare: ciò che provava forse non lo avvertiva nemmeno lui più come “normale”. Anche e soprattutto in questa fase non può fare a meno di Giulia, continua a cercare di avvicinarla, vive per i brevi attimi che l’esausta ragazza gli concede fino all’ultimo, tentando di prendersi cura di lui per non avvertire il senso di colpa e per scacciare la paura che lui possa farsi del male (la recente perdita della madre può averla influenzata?).
Se fossimo arrivati da Filippo in tempo, cosa sarebbe accaduto? Quali sono i segnali che può inviare una stella che è tanto collassata da non emanare più nemmeno un raggio di luce?
Capire per aiutare, capire per salvare.