Meditare: non funziona.

Meditare: non funziona.

No, non è un titolo provocatorio.

In questi giorni, lo potete leggere un po’ su tutti i giornali (anche su quelli seri), più o meno tutti i siti web che propongono “esercizi di meditazione” sono presi d’assalto.

La meditazione, almeno intesa in questo modo, non funziona. Non si medita per rilassarsi, non si medita per essere felici. Se volete rilassarvi guardatevi una serie TV, se volete essere felici cercate di pensare a cosa vi impedisce di esserlo. Può già rappresentare un inizio di cambiamento.

Sedere per terra e respirare non vi regalerà alcuna sensazione particolare (a parte quelle che vi starete convincendo di provare) e non vi darà assolutamente alcuna forma di piacere.

Somiglierete a qualcuno che medita: vi sembrerà di fare esattamente come avete visto nella foto in cui era ritratta a sua volta una persona che si è lasciata fotografare per comunicare l’idea di qualcuno che medita. Esattamente come nell’immagine una spanna più in alto. Niente più di questo.

Meditazione. È una parola di cui si abusa, il suo significato è andato perduto e la causa è proprio l’uso ripetuto che di questo termine si fa. Una declinazione dopo l’altra, un utilizzo strumentale dopo l’altro, ecco svanire il contenuto di tutto quello che la “meditazione” doveva essere.

E dove può risiedere il senso di quello che è divenuto uno “strumento”?

Ecco quindi che il senso della meditazione è, di volta in volta, da ricercarsi in ciò che si desidera ottenere grazie alla sua pratica, cioè nello scopo che le è stato assegnato: rilassamento, migliori performance sul lavoro, felicità prêt-à-porter, aumento dell’empatia, pace interiore, concentrazione…

Forse il più profondo effetto dell'”occidentalizzazione” di ciò che si chiama “meditazione” è proprio questo: non sappiamo cosa farcene di un oggetto privo di “funzione”, che non “serva” a qualcosa e quindi abbiamo creato uno strumento (al pari di un cacciavite o di una vanga) con il quale ottenere un risultato.

Ma meditare non è un’azione ordinaria: non può possedere una ragione. Anche se il senso di questa affermazione ci sfugge.

Il problema è che in questo modo, cioè estrapolando una pratica dal suo contesto ed utilizzandola per perseguire uno dei nostri tanti fini, non facciamo altro che scimmiottarne l’esteriorità, con il risultato drammatico di perderne immediatamente il senso non verso il quale la pratica punta, ma che la pratica stessa è.

Meditate finché ne avrete voglia, poi tornate a quello che facevate. Tranquilli, la “meditazione” non rischierà di sconvolgere le vostre vite: avrete acquisito un nuovo attrezzo, magari qualche volta lo sentirete persino “utile”.

Photo by Jared Rice on Unsplash

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