L’aspetto peggiore della depressione

L’aspetto peggiore della depressione

Il tema della depressione è estremamente legato a quello del tempo. Se si è depressi le giornate divengono, in modo relativamente improvviso, insostenibili: il tempo smette di scorrere, non vi è più alcun motivo perché lo faccia. Anedonia, si chiama così in gergo psicologico la mancanza della possibilità di provare piacere, è ciò che forse più di ogni altro aspetto rende la depressione una condizione insopportabile.

Perché ci alziamo dal letto la mattina?

Possiamo scrivere, ciascuno di noi, una sua lunga lista di motivi: vedere i nostri cari, andare al lavoro, andare all’università, a scuola, a trovare un amico, un parente, dipingere, suonare, uscire per passeggiare, incontrare i nostri amici a quattro zampe o con le ali, comprare il giornale…

Si tratta di questioni valide, sensate, ma generali: nello specifico la realtà è che ci alziamo dal letto per una sola ragione, la quale ci accomuna tutti, semplice quanto estremamente potente e vera guida di ogni aspetto della nostra esistenza: ricercare il piacere ed evitare il dolore.

Si tratta di qualcosa di antico, più di quanto possiamo immaginare, di un principio connaturato alla vita stessa, qualcosa che le ha permesso di persistere e diversificarsi. Una ragione, insomma ancor prima biologica che psicologica.

Se il tempo pare smetta di scorrere allora significa che siamo sprofondati in una sorta di baratro. Un pozzo artesiano scavato dalla nostra vita stessa, sulla base di ciò che abbiamo scelto e ci è accaduto, su misura per il nostro essere. Da questo luogo senza tempo, vediamo invece il tempo degli altri continuare a scorrere. Rapido. Tutti “vanno avanti” e ci sembrano sapere esattamente cosa fare, mentre noi “restiamo fermi“. Impossibilitati a muoverci. Sentiamo di aver sbagliato ogni cosa mentre le nostre giornate cristallizzate si susseguono senza movimento alcuno. Perdiamo il senso del controllo sulla nostra vita e scivola via l’idea di poterla migliorare.

Manca il motivo, manca la possibilità stessa della ricerca del piacere. Possiamo affermare che il piacere per noi non esiste più: anedonia significa proprio questo. Niente più ci dà piacere, non lo riusciamo più a scorgere, non riusciamo a presagirne la presenza, nemmeno l’idea: abbiamo perduto ogni memoria del suo profumo.

È forse questo l’aspetto più drammatico della depressione maggiore: non avere più un movente, non avere più la possibilità di un qualunque desiderio.

C’è un libro, che oggi purtroppo credo conoscano in pochi, scritto da Michael Ende parecchi anni or sono: “La Storia Infinita“. Nella storia ha un posto importante un amuleto, l’Auryn: un oggetto in grado di realizzare i desideri di chi lo indossa. Si tratta di un punto di applicazione della fantasia sulla realtà. L’Auryn realizza i sogni, proprio come nella vita reale è in grado di fare una volontà incrollabile (accompagnata da condizioni propizie). Eppure, per tramutare un desiderio in realtà, è necessario prima possederlo: avere desiderato qualcosa, anche una cosa soltanto.

Se non siamo più in grado di desiderare è perché ai nostri occhi non siamo più nulla: abbiamo perduto il nostro amuleto.

Sì perché nella vita di tutti i giorni, il nostro Auryn siamo proprio noi e se non esiste l’idea di poter realizzare i desideri, se se ne va la nostra sensazione di potere effettivamente controllare e dare forma almeno ad una piccola parte della nostra realtà, allora desiderare non ha più alcun senso. Resta solo l’essere disperati, una sensazione alla quale purtroppo ci si abitua.

Anedonia: nulla mi dà piacere. Ma perché? Perché ho fallito, perché mi è capitato qualcosa a cui non riesco a far fronte e merito di rimanere nel pozzo che la vita ha scavato per me.

Eppure tendere una mano è ancora possibile: dall’altra parte potrebbe esserci qualcuno in grado di accarezzarla.

Foto di Cherry Laithang.

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