Sa dove colpire

Sa dove colpire

La porta si apre. Ci sono tutti. Le festività sono l’occasione per ritrovarsi, dopo molto tempo, insieme. La famiglia le è mancata tanto, a volte in modo straziante. Avvertiva una sensazione che deve essere quella, pensava, di un tronco a cui abbiano tolto la terra. Radici nude, all’aria, senza calore alcuno, senza riparo, protezione.

Ora sono davanti a lei e gli occhi non possono che riempirsi di gioia fatta lacrime lievi, com’è la pioggia in primavera per l’erba, dopo giorni di siccità. È così facile, naturale abbracciarsi, stringersi, dirsi che ci si è mancati. Dimenticare il male che, inevitabilmente, a volte ci si è fatti l’un l’altra.

Famiglia. Quanti significati non fa che evocare, una sola parola. La pelle si increspa, le palpebre si socchiudono, una mano si tende avida per ghermirne un’altra. Bisogno. Cura. Branco.

Eppure basta poco. Una frase. Sì perché la conoscono da sempre, sanno dove colpire. E non è volontà di ferire, è bisogno inconscio di riavere lo stesso rapporto, è volontà di ottenere di nuovo le medesime reazioni.

“Sei sempre così suscettibile?”. È sufficiente questa frase. Cosa dovrebbe dire? Era vero, un tempo? forse lo era davvero. Vi erano stati anni, durante la sua adolescenza, in cui non si sentiva compresa. Bastava una critica e, per la sua insicurezza, crollava. Reagiva e poi si chiudeva, sfinita, in camera sua.

Ecco allora, di nuovo, il bisogno degli altri di averla uguale ad un tempo, con il suo ruolo. Qualcosa che però lei sente non appartenerle più. Sono trascorsi anni, è cambiata, ma questo non pare interessare a nessuno, rivogliono la parte di lei che conoscono, che possono in qualche modo utilizzare.

Si chiede allora cosa sia venuta a fare, se quella gita sia stata o meno una scelta giusta. Si sente a disagio, nota chiaramente in sé la voglia di reagire.

Tuttavia una reazione rabbiosa, dire “io non sono più così” non farebbe che dire invece “sì, è vero, guardatemi”. Un meccanismo antico e potente, che immaginava perduto, sta tentando di scattare nella sua mente. È il suo ruolo, la sua parte, nel copione della storia della sua famiglia. Il pubblico è lì, pende dalle sue labbra, questo la spinge nemmeno troppo velatamente verso ciò che deve dire, ciò che deve fare.

Allora riflette. Coglie un attimo tra i suoi pensieri, un istante lungo come una notte intera. Osserva. Comprende.

Il suo volto si illumina. Un sorriso.

La differenza non la fa ciò che dice. Avrebbe potuto dire qualunque cosa. Il linguaggio conta così poco. Chi ci conosce davvero, poi capisce immediatamente se stiamo nascondendo il risentimento. La questione è un’altra. Ciò che parla, ora, da dentro di lei, è la serenità.

Questo somiglia all’esser cresciuta, sul serio. La recita si interrompe: l’attrice non pronuncia la sua battuta, la giovane donna non ha la reazione che le tutti le chiedevano, che evocavano. Il pubblico è sbigottito.

Come una nuova nascita: dentro di sé e davanti a chi la osserva, appare qualcosa di nuovo. Quante volte, alla fine dei nostri giorni, potremo dire di esser nati?

Photo by Tyler Nix on Unsplash

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