Il migliore

Il migliore

Andava tutto bene. Poi è arrivato un giorno diverso. Da quello in poi sarebbero stati tutti così, tutti uguali.

Si richiuse. Richiamò a sé i suoi petali, incurante del sole. Aveva solo un desiderio: ritrarsi. Tagliare ogni contatto, smettere, impedire: divennero desideri ossessivi, violenti. Ogni volta che sentiva di essersi fatto più difficile da raggiungere avvertiva, distintamente, un brivido che però non riusciva a definire.

Nella musica esistono accordi maggiori ed accordi minori. Capire cosa ci comunicano è facile, ce la fa chiunque. Non tutti gli accordi però sono così trasparenti. Ve ne sono altri, meno limpidi, più scostanti, che devi inseguire, per capire che cosa racchiudono. Con le emozioni, a volte è lo stesso. Certe felicità non somigliano affatto alle risate con gli amici nelle giornate di sole, quelle che ti possono ruzzolare fuori dai denti come una manciata di cristalli e far tirare le labbra come un arco, aprire la bocca fino a farti male e toglierti il fiato. Ecco un accordo maggiore.

Certe sensazioni sono semplicemente incomprensibili. Devi avere una mappa chiara, devi avere uno sguardo cristallino. Allora sì, aprirai lo scrigno e vedrai che cosa contiene. E magari non ti piacerà.

D’altronde è per questo che inseguivi senza raggiungere, che guardavi senza vedere. Meglio tenersi quel brivido, zitto come un geroglifico, che si arrampica per un po’ su per la schiena, arriva ai capelli e se ne va. Il suo lavoro l’ha fatto, tu l’hai sentito, bene così.

Invece di buono non c’era niente. Una scivolata dopo l’altra era caduto così in basso da non riuscire più nemmeno a vedere la luce del sole. La ragione erano le pareti troppo ripide sulle quali cercava di arrampicarsi. Aspre pareti che aveva costruito da solo, con l’aiuto dei suoi genitori, degli insegnanti, della sua paura di non essere amato, compreso, di non valere nulla.

A me cosa viene bene? come fosse un obbligo, essere il migliore per forza, almeno in una cosa, una soltanto.

Photo by Gabriel on Unsplash

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