Verso una psicologia consapevole e per tutti

Verso una psicologia consapevole e per tutti

La società odierna presenta un inquietante aumento dei disturbi psicologici: prima fra tutti in questo senso, con una diffusione che interessa ogni paese del mondo, si situa la depressione la quale rappresenta un costo enorme dal punto di vista socioeconomico. E’ ormai chiaro come investimenti effettuati in questa direzione potrebbero tramutarsi direttamente in un più che significativo risparmio di risorse e, probabilmente, in un aumento dei profitti.”

Quanto appena espresso è un ragionamento esposto in una forma piuttosto comune sia sui testi che nelle aule di psicologia: si evidenzia cioè dapprima un problema umano che comporti un danno teorico per la collettività, rilevato principalmente in termini prettamente economici, suggerendo quindi la possibilità di un intervento psicologico che possa incidere positivamente; considerando perciò il “ridotto funzionamento” dell’individuo in termini di “evidenza di diminuita produttività” e l’intervento psicologico alla stregua di una “promessa di aumento della produttività”.

Certo, la filosofia politica compete senza dubbio alla filosofia e la psicologia non può e non deve direttamente prendere posizione rispetto alla gestione di una nazione e men che meno rispetto ad una politica globale che sempre più somiglia ad una politica del capitale, ovvero ad una tensione verso la massimizzazione del ricavo che tenta di aggirare i limiti etici ed ecologici che potrebbero in qualche modo porle freno od esserle d’ostacolo.

L’astensione dall’agire non si caratterizza però come una non-azione: nel caso di una disciplina così intimamente necessaria alla società degli esseri umani quanto lo è la pratica psicologica, anche il non agire si configura infatti, comunque, come una implicita scelta di campo. La psicologia si astiene dal decidere cosa sia giusto o sbagliato e sceglie comunque, coerentemente con il proprio spirito, di prendersi cura; in realtà però non ottenendo un’astensione dal porre in atto una decisione: quando ad esempio aiuta i lavoratori di un’azienda riducendo il loro stato di stress attraverso l’insegnamento di tecniche per tollerarlo, aiuta una realtà produttiva inserita in un determinato contesto a raggiungere un risultato operativo migliore dal punto di vista economico.

La stessa necessità della sua azione in azienda è generata dalla possibilità del ricavo: non è obiettivo di interesse operativo la felicità dei dipendenti di per se stessa, ma lo è la felicità dei dipendenti in relazione alla “vita aziendale”, quindi al livello di produttività: la tipologia di felicità ricercata e promossa è cioè quella felicità che l’essere umano può provare collocato saldamente all’interno dei dettami sociali ed alle regole aziendali, una felicità che non si situa al di là, ma al di qua di un confine che è la vita per come la conosciamo e per come viene imposta, una felicità che non è impeto, non mette in discussione ed acquieta, che soddisfa nell’assenza del cambiamento e contenta nel processo di subire quello deciso da altri; la psicologia può cioè rischiare di essere interpellata da chi dirige con l’intenzione specifica di poter ottenere un migliore risultato economico date le stesse risorse (umane) impiegate e le medesime condizioni di lavoro. Risultati di questo genere di azioni sono ad esempio il poter ottenere un livellamento verso il basso dei giorni di assenza dall’impiego od una maggiore resilienza delle persone in vista di spostamenti di ufficio o di mutamento delle mansioni.

Non si desidera in questa sede insinuare che possano esistere o che la psicologia stessa debba ricercare o creare sua sponte un “mondo migliore” od una “felicità migliore”, compiti questi, di nuovo, parte del fardello della filosofia: si intende invece rilevare come la psicologia, non manifestando una scelta ed insieme prendendosi cura, possa in certe occasioni finire con il coadiuvare nel loro esistere pericolose sfumature di logiche aziendali, a discapito dello stesso essere umano.

Siamo innanzi a qualcosa di nuovo che si configura come un mutamento probabilmente scaturito da quella che possiamo considerare uno slittamento semantico su larga scala di buona parte delle possibili applicazioni della psicologia: si assiste oggi ad un proliferare fuori misura di corsi, seminari ed interventi su singoli e gruppi che promettono, ciascuno, di rappresentare monetariamente un investimento e non un costo, basandosi su studi che dimostrano come la produttività ed il clima aziendale possano migliorare, quindi in ultima analisi facendo coincidere la scala di misura del successo dell’agire della scienza psicologica con lo stesso valore con il quale l’azione terapeutica otterrà il suo compenso: il denaro.

Il rischio che si corre è evidentemente tutt’altro che trascurabile: se si instaurasse in modo definitivo la sola ricerca e sviluppo di strumenti psicologici capaci di migliorare determinati parametri aziendali, con lo scopo preciso di poter essere venduti alle aziende stesse, ci si avvierebbe verso il punto di fuga di una prospettiva, triste, in cui la psicologia non consisterebbe più nello studio della psiche ma si ritroverebbe tramutata in un utensile della produttività ed in cui il benessere umano non sarebbe più il fine ricercato ma un bene accessorio di quest’ultima. Ecco allora che il confronto attivo con la filosofia diviene auspicabile, non per dare una direzione alla psicologia, ma per garantire che una discussione aperta e costruttiva possa impedire una deriva in cui la psicologia diviene merce, in cui l’intervento psicologico è considerato alla stregua di oggetto e bene di consumo, in cui il “funzionamento” dell’essere umano, come viene definito in psicologia, non è considerato saldamente al di qua del confine semanticamente labile il cui al di là è mera valutazione di impiegabilità. Insomma se il non-agire è certamente auspicabile e necessario in psicologia nel momento in cui il contrario riguardi la scelta del modello verso cui far tendere la società, egualmente fondamentale è l’aspetto rappresentato dalle ripercussioni che tale scelta può avere sulla società stessa.

Altra questione è poi l’accesso alla psicologia da parte del privato cittadino ed in questo caso un parallelismo con la medicina è certamente d’obbligo: il medico di base si occupa delle prime necessità del paziente, instrada eventualmente la sua richiesta di cura verso una specialista, il suo servizio è per il paziente totalmente gratuito. La medicina non deve, al livello appunto dei cittadini, annaspare nella competitività e nell’auto-promozione per restare viva od affermarsi ulteriormente: la medicina è necessaria e quindi disponibile, a tutti. Si comprende allora come una psicologia lasciata in balìa del mercato, che non possa contare su di un reale punto di contatto, gratuito, con la cittadinanza, incorra invece in quello che può tramutarsi in una subalternità alla logica di profitto. È quindi necessario ricordare il senso della psicologia, che non è molto dissimile dal senso della medicina, visto che per entrambe comprende il sistematizzare la conoscenza attraverso la ricerca scientifica, ma anche e soprattutto il rimuovere ostacoli patologici e non patologici dalla vita delle persone, in modo che queste possano accedere ad un livello di benessere superiore, guadagnando la possibilità di esprimere al meglio il loro potenziale.

La psicologia non deve quindi solo adoperarsi per restare competitiva e dimostrare di essere utile nelle modalità richieste dal mercato, ma battersi perché venga instaurato un suo punto d’accesso disponibile alla popolazione, escluso dalla logica del profitto. D’altro canto possiamo immaginare facilmente come sarebbe la medicina senza i medici di base gratuiti o che cosa accadrebbe se gli interventi di questa fossero “consentiti” solo nel caso in cui fossero economicamente vantaggiosi per un’azienda o per la società: serve ben poca fantasia, visto che è sufficiente estendere su scala più ampia, giusto per fare un esempio, il triste caso dei farmaci per le malattie rare. Insomma l’intervento statale è non solo auspicabile in questo settore, quello della salute, ma necessario proprio per bilanciare i molteplici ed insidiosi slittamenti semantici che possono alterare l’agire dello psicologo in modo magari poco percepibile, ma significativo, ed evitare il verificarsi di un pericoloso piano inclinato capace di mutare sensibilmente il senso alla base della psicologia stessa.

Inoltre, se la medicina può permettersi di “curare senza pensare”, il curare della psicologia, e la cosa meriterebbe una riflessione di più ampio respiro, è invece intimamente connaturato al pensiero stesso: l’azione psicologica si caratterizza in fondo come il pensiero che cura il pensiero, ma un pensiero curante e situato conterrà inevitabilmente sfumature che influenzeranno il pensiero curato e situato. Se la medicina può permettersi insomma il lusso di curare senza preoccuparsi, come cura il claudicante per renderlo nuovamente capace di camminare, perché l’essere di nuovo in salute solitamente non altera le idee politiche o le preferenze di un soggetto, la psicologia deve invece porre grande attenzione al suo proprio agire, affinché la sua azione terapeutica non sia diretta al far sì che l’uomo si adatti più facilmente a questa od a quella situazione, rendendogli visibile e quindi possibile una felicità relativa o rendendolo capace di una aumentata sopportazione, poiché così facendo potrebbe alterare lo slancio verso qualcosa di nuovo o semplicemente diverso e coadiuvando nel contempo chi dalla condizione attuale del paziente stia eventualmente traendo una qualche forma di profitto.

Una persona calma, meno soggetta a pensieri disfunzionali, in grado di comprendere se stia o meno utilizzando vecchi schemi per nuove situazioni, è una persona probabilmente più felice ma non è detto che una persona più felice sia necessariamente una persona più funzionale in relazione ad una determinata realtà produttiva o, per lo meno, non è detto che le due grandezze siano direttamente proporzionali o causalmente connesse.

(Elaborato dall’introduzione ad “Eidosofia – Analisi degli effetti dell’instaurazione della pratica sul personale di un reparto di oncologia ed ematologia oncologica.”, tesi del corso di Laurea Magistrale in Psicologia Cognitiva Applicata, Daniele Rostellato, 2019)

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